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Birra artigianale: due chiacchiere con Teo Musso

Ha portato la birra artigianale italiana nel mondo. Se oggi tutti abbiamo assaggiato almeno una volta una birra artigianale lo dobbiamo in gran parte a lui.

Ti consideri un artista o ti vedi in qualche modo tale?

Uno dei miei approcci è sicuramente artistico. Penso che la lettura originale del concetto di fare artigianato, che secondo me è alla base, sia la capacità di espandere la propria personalità ai prodotti che si realizzano. É sicuramente un concetto legato alla creatività in modo piuttosto importante. Da questo punto di vista il mio è un approccio artistico. Mi ritengo semplicemente una persona appassionata che cerca di portare la propria passione, la propria identità in cose nuove.

Hai anche lavorato a un progetto sul mondo dell’abbigliamento in passato?

Tanti anni fa ho lavorato sul tema dell’abbigliamento. Quando ho fatto il progetto Open Baladin, dieci, undici anni fa, avevo fatto una linea di abbigliamento con una filosofia sempre molto personale. Alla fine mi sono reso conto che era troppo distante dal mio mondo, mi richiedeva troppa energia. Finché si parla del bere posso spaziare con grandissimo piacere, è la mia passione, ma sono anche competente, a oggi sono trentaquattro anni di Baladin, è la mia vita. Quindi diciamo che sul mondo dell’abbigliamento ho fatto marcia indietro alla fine. 

Sei il primo che ha promosso la birra italiana nel mondo e sei leader nel tuo settore. É successo perché sei stato il migliore o più per una questione di tempismo? 

Sicuramente il fattore tempo, che è legato anche al fattore culo, è un elemento importante. In ogni caso è un insieme di cose. Avere la fortuna di centrare il momento è uno dei punti più importanti. Quando ho iniziato a fare birra il mio progetto è stato ritardato di due, tre anni perché avevo dei problemi economici e non sarei stato in grado di arrivarci. Se non fosse stato per quel ritardo probabilmente sarei arrivato troppo in anticipo e non sarei stato in grado di portare avanti il progetto. Sarei fallito prima dello sviluppo.

Oggi si parla di birra artigianale, ma il percorso per arrivare a portare la birra artigianale sul mercato italiano è stato un processo e una presa di coscienza che esisteva un altro modo di interpretare il prodotto. Un percorso durato una quindicina d’anni prima che le persone capissero che esisteva qualcosa di diverso, e si prendesse coscienza. Questi percorsi sono sempre più lunghi di quello che uno potrebbe immaginare. Oggi siamo in un mondo in cui sembra che tutto si debba fare in un batter d’occhio ma non così. Quando si costruiscono rivoluzioni o progetti veri il tempo è sempre tanto. Nel mondo virtuale è tutto veloce, nel mondo pratico non è così. 

Quali sono gli scenari nel mondo del food & beverage?

Penso che sia, come tutti i momenti di grandi cambiamenti, un momento di opportunità. Il mondo del beverage in generale sta avendo un’accelerazione rispetto alla staticità enorme che si portava dietro. La creazione di nuovi prodotti una volta succedeva ogni due tre anni, oggi ne escono tre nuovi al giorno. Abbiamo l’esigenza di avere nuovi stimoli continuamente, è diventata quasi una sorta di droga dal punto di vista dei consumatori.

In questo senso il mondo delle piccole aziende, come possiamo essere noi, caratterizzato dalla flessibilità e velocità di reazione, legato a meccanismi e dinamiche molto più snelle rispetto ai grandi gruppi, può darci delle opportunità interessanti. Senza togliere il fatto che il mercato della birra e delle bevande in generale è fatto da un mondo che non è sicuramente quello delle piccole aziende. Quindi il nostro ruolo è quello di fare innovazione, mettere prodotti sul mercato più velocemente. Poi bisogna saper cogliere e avere la coscienza di ciò che si vuole e si può fare

Baladin è sostenibile. Come fate a esserlo e in che senso lo siete? 

Diciamo che in questo senso Baladin come birrificio è un azienda assolutamente anomala. Noi facciamo un lavoro diverso da quello di fare la birra come normalmente avviene , comprando dal mercato internazionale un prodotto per poi impiegarlo nella produzione di birra artigianale, viva, non pastorizzata, diciamo con la propria filosofia. Baladin ha iniziato nel 2006 un percorso di filiera: mi sono detto che dovevo riuscire a far capire in qualche modo agli italiani che la birra è un prodotto agricolo e di lì è iniziato un percorso che va avanti.

In questo senso abbiamo vinto tante piccole battaglie di cui siamo orgogliosi come il fatto di partire dalla terra, seguire le coltivazioni, coltivare. Abbiamo fatto le prime coltivazioni di luppolo della storia italiana, abbiamo creato la prima birra 100% italiana, la “Nazionale, con il raccolto di quest’anno siamo al 98% di materie prime italiane, con l’anno prossimo probabilmente chiuderemo la filiera. Se tutto va nella direzione giusta, Covid permettendo, nel 2021 posizioneremo l’indipendenza anche a livello energetico.

Tutte queste cose ci porteranno in un livello di indipendenza completo che vuol dire produrre materie prime, trasformare, vendere sul mercato, tutto attraverso la nostra filiera. Parliamo di controllo della filiera, gestione diretta delle coltivazioni. Il mio obiettivo, che nasce quattordici anni fa e mi ero dato in quindici anni di lavoro, è chiudere con il raccolto dell’anno prossimo, clima permettendo, questo percorso unico al mondo. Non c’è nessuno che ha un percorso di questo genere. Nel mondo della birra l’agricoltura è molto staccata dalla produzione: uno compra sul mercato il prodotto che gli serve per fare la birra, il malto, il luppolo, poi prosegue con la produzione. 

Grazie al marketing vediamo birre esplodere e spesso le crediamo quello che non sono. Nel caso di Baladin qual’è il vostro approccio al marketing? 

Dobbiamo considerare un aspetto. Noi abbiamo vinto una battaglia, non Baladin, il mondo della birra artigianale, che è anche quella di smuovere i grandi gruppi nella direzione di creare nuovi prodotti. Da lì in avanti dobbiamo pensare che il nostro è un marketing diverso. Il nostro marketing vero è quello di portare gente in azienda, far vedere cosa facciamo direttamente, raccontare la nostra storia, quello che costruiamo giorno per giorno. La forza dei grandi gruppi assolutamente non ce l’abbiamo, tra pochi giorni ad esempio faremo una campagna televisiva che racconta per la prima volta la nostra birra Nazionale 100% italiana, ma questo per noi è possibile dopo nove anni da quando l’abbiamo lanciata.

Normalmente non abbiamo la forza economica per poter fare queste cose, ma adesso è un momento in cui dobbiamo mettere una bandiera perché a distanza di nove anni rischiamo che qualcun altro che abbia un po’ più di forza di noi vada a raccontare le stesse cose. Quindi è arrivato il momento di dirlo. Per noi che siamo una piccola azienda è un grandissimo sforzo. Ma vogliamo farlo, nonostante il momento non aiuti. Per noi è un momento difficilissimo perché abbiamo un mercato indirizzato per il 95% all’Horeca (bar, ristoranti, hotel, etc.) che in lockdown ha chiuso completamente e ci è costato un – 95%. Anche adesso sta soffrendo, è stato un periodo difficile e sicuramente non abbiamo uno scenario molto rassicurante davanti a noi. Ma nonostante questo dobbiamo farlo per mettere un “timbro”, anche se nove anni in ritardo.

birra artigianale - Langhe
Elisa Roggerone – biancovino.com

Tuo padre era un produttore di vino. Tu come sei approdato al mondo della birra? C’è un legame con il vino? Forse sei stato anche il primo a usare il calice per la birra, che richiama in qualche modo al mondo del vino.

Io arrivo da una famiglia contadina molto semplice. Mio padre aveva le vigne che adesso coltiviamo noi come birrificio, ma non era un produttore di vino. Il vino è stato un elemento importantissimo nel percorso di Baladin ma non solo nostro, del mondo della birra artigianale in generale, per via dell’attenzione che si è creata nei confronti del vino negli anni ’90, dopo il metanolo. Il vino è stata la chiave che ci ha permesso di posizionarci e cambiare l’approccio al consuma della birra, usando meccanismi che vanno dalla bottiglia da 75 cl che veste la birra come un vino, all’utilizzo dei calici come giustamente dicevi. Anche il posizionamento della birra sul mercato in modo completamente diverso è stato merito della grande rivoluzione che il vino ha fatto nell’avvicinare, nel mettere le persone di fronte all’assaggiare quello che mettevano in bocca.  

Le prime birre in bottiglia che Baladin ha posizionato sul mercato italiano, la Isaac e la Super, erano birre profumate, fino a quel momento non c’erano birre profumate. E di lì lo studio e la nascita del Teku, il bicchiere che ho disegnato nel 2005 che oggi è diventato il simbolo mondiale di questa rivoluzione. Facciamo oltre un milione e mezzo di bicchieri l’anno, ed è il simbolo in tutto il mondo. Da bravo nazionalista ho voluto portare la produzione in Italia e oggi abbiamo cinque cause in corso con aziende che copiano il nostro calice. É nato per essere un bicchiere rivoluzionario, nel senso che è un bicchiere tecnico da degustazione ma soprattutto un bicchiere che ridà dignità al prodotto birra.

La birra era diventata una bibita, una bevanda da bere d’estate quando faceva caldo, un’alternativa alla Coca-Cola in pizzeria. In questo senso c’era una grande rivoluzione da fare, la prima che ho fatto. La seconda è stata quella di rapportare la birra alla terra, di ricondurla al concetto di essere un prodotto agricolo. Lo dico sempre, il mondo della birra artigianale deve ringraziare il mondo del vino. 

Insomma sei riconoscente al vino?

Assolutamente si.

Hai un profondo legame con l’Africa. Da dove arriva? Centra anche Slow Food in questo?

No, Slow Food non centra. Sono cose molto personali. Viaggi ed esperienze che mi hanno lasciato un segno. Noi con Slow Food abbiamo un bellissimo progetto sulla noce di Cola per la nostra Cola naturale, però non ci sono altri incroci importanti salvo il concetto di filosofia di rispetto della terra.

Curiosità mia, il luppolo trova terreno fertile in Italia? Si coltiva ovunque o solo in certe zone? Come funziona?

Il luppolo è una liana che più o meno in quasi tutta la fascia latitudinale dell’Italia esiste in modo selvatico. É una pianta che sicuramente si adatta al nostro territorio. Per quel che riguarda la coltivazione, che è una cosa diversa, sono passati quattordici anni da quando è partito il progetto, e abbiamo capito cose sui terreni e qual’è il tipo di pianta che si adatta meglio. Si può dire che negli ultimi tre, quattro anni la filiera del luppolo in Italia sta iniziando a nascere in modo completo. Ci sono cinque distretti che si stanno sviluppando in aree diverse: in Lazio, Trentino, Emilia, Piemonte, Umbria. Secondo me tra vent’anni possiamo immaginare di avere uno scenario abbastanza chiaro per quel che riguarda la coltivazione del luppolo nel nostro paese. 

Per chi volesse seguire le tue orme nel mondo del food & beverage hai qualche suggerimento prezioso?

Il momento buono è quello in cui senti e vedi in modo chiaro nella tua testa. Hai una visione che è legata alla tua passione. Dev’essere un percorso importante che va portato avanti con coscienza. L’unica analisi che mi sento di fare è che bisogna essere un po’ meno italiani, anche se è una parte affascinante della nostra personalità. Bisogna fare attenzione ed essere un po’ meno istintivi, cosa che ci contraddistingue molto nel partire nei progetti. Oggi siamo in una situazione di non semplice mercato, in cui la difficoltà è abbastanza chiara. Bisogna analizzare con più attenzione poi affidarsi alla passione. L’autoanalisi secondo me è la cosa più importante: quello che abbiamo in testa è un mal di pancia momentaneo o è un progetto per la vita?

Sei nazionalista ma consigli di essere un po’ meno italiani insomma.

Sono un super nazionalista nel senso che ritengo abbiamo delle qualità, delle risorse, delle aziende incredibili, un territorio con una biodiversità eccezionale. Questo siamo noi, la nostra realtà. Dall’altra parte, mi sento di dire che la nostra passionalità e la velocità con cui ci buttiamo dentro le imprese fa parte della nostra natura ed è bellissima. Tuttavia fare impresa oggi non ha normalmente dei margini molto importanti, quindi bisogna fare estremamente attenzione.

In questo senso essere un po’ meno italiani: analizzare le prospettive di ciò che uno vuole andare a fare e il possibile posizionamento sul mercato, in altre parole il risultato della visione. L’aspetto che tante volte non si prende in considerazione è che si parte dal fatto di fare un prodotto buono, ma bisogna pensare di fare un prodotto eccezionale e avere l’idea di posizionarlo sul mercato, riuscire a venderlo. Altrimenti diventa come masturbarsi, una bellissima pratica che però resta tra noi e noi, non tra noi e il mondo.

Ho parlato con un ragazzo che lavora nel mondo della mixologia, dei cocktail insomma. Mi accennava che in quel mondo bisognerebbe seguire un processo simile a quello che tu hai avviato con la birra artigianale. Conosci quel mondo? Cosa ne pensi?

Conosco abbastanza bene quel mondo. L’ho anche praticato. Prima di fare la birra ho fatto dieci anni dietro il banco. Penso che negli ultimi cinque anni il mondo della mixologia abbia avuto una svolta raffinata, elegante, interessante, curiosa, mettendo in vista la creatività di parecchi bartender. É stato ed è un percorso molto bello. Baladin ha tutta una linea di prodotti indirizzati a quel mondo come Ginger Beer per il Moscow Mule.

Poi abbiamo alcune acque toniche, ne ho fatta una al fieno di montagna, un’altra diciamo più classica, un’altra ancora amara che porta un po’ nella direzione del bitter, poi entro fine anno esco con una tonica affumicata. É un mondo che mi piace e sto cercando di coccolarlo con i miei soft drink, le bibite in versione italiana che chiamiamo Extra Bibite. É una delle mie passioni che deriva da quando ho messo in moto tanti anni fa il progetto Lurisia con Chinotto e Gazzosa. Anche a Piozzo sono sempre rimasto molto legato alla produzione della parte Bibite, fa parte delle sfumature del mio lavoro. L’anno prossimo uscirà una serie di prodotti nuovi che sono proprio interpretazioni di questo mondo, della mixology.

 Ma hai passioni oltre alla birra?

Sono uno con tante passioni. Sono appassionato di alta fedeltà, fotografia, musica, e diciamo che mi piace molto il fascino femminile.

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